Gay & Bisex
Un passaggio in macchina pagato caro
di only_a_boy
24.07.2024 |
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"E, zitto zitto, svaniva dal gruppo dei colleghi alle macchinette e te lo trovavi sempre accanto a qualche sua ragazza, a parlare, parlare, parlare (che..."
Il rumore insistente di una notifica ed ecco che compare davanti agli occhi sullo schermo del cellulare il popup con l’anteprima del testo del messaggio: “Ciao Alberto, quando puoi chiamami”.Era la solita richiesta su Teams che potrebbe annunciare quasi sicuramente delle grane: magari nuove attività che i colleghi ti rifilano oppure un nuovo compito che dal grande capo plana su di te per interposta persona. Avrei avuto quasi la tentazione di lasciare perdere fino all’indomani, visto che erano già le 17:30 e avevo casualmente letto la chat, se non fosse che il mittente era Alessio, un ragazzetto che mi intrigava non poco.
Per me, che vado oramai per i trentanove anni, lui era giovanissimo e di questa sua gioventù ero in qualche modo rimasto vittima. I suoi ventotto anni si deducevano facilmente dal fisico asciutto, modellato in palestra ed esaltato dal vestiario che portava sempre in ufficio: quelle camicie (rigorosamente con le sue iniziali), bianche o celesti non importava ma sempre “slim fit”, atte a sottolineare le spalle irrobustite dagli allenamenti ed il torace ampio, che armoniosamente si riduceva in basso in una vita sottile - sottile come si può possedere solo prima di una certa età – e scendeva poi in un culetto sodo, che riempiva divinamente tutti i pantaloni che portava (mai jeans, era sempre piuttosto elegante).
Il quadro d’insieme mi è sempre parso terribilmente provocante e ogni volta che mi dava le spalle ne approfittavo per godere almeno con gli occhi della bellezza di quel ragazzino. E quando il venerdì si vestiva più casual con una polo aderente, anche il bicipite faceva bella mostra di sé (sarà stato il triplo del mio, che non ha mai beneficiato della palestra), facendo intravedere anche un fisico piuttosto glabro.
Con questo pacchetto qui quasi non salivo a guardare il volto, che pure più passava il tempo e più mi intrigava: quella faccina da bravo ragazzo, sempre serio, con la pelle chiarissima priva ancora di rughe e con un accenno di lentiggini, gli occhi scuri, il naso leggermente aquilino e i capelli castano scuro, ricci e sistemati con molta cura. Ad aggiungere un pizzico di pepe nella mia mente perversa era il suo atteggiamento, la sua voce profonda (io odio la mia, che è nasale) sempre pacata e calma, persino quando sorrideva o scherzava con i suoi amici: non avendolo mai sentito urlare, mi sorprendevo a fantasticare su che versetti potrebbe mai fare mentre scopa e gode.
Comunque, come sempre mi capita, essendo un timido ed insicuro, non mi faccio mai avanti quando qualcuno mi piace, anzi, sto molto sulle mie e appaio scostante. Lui poi aveva manifestato nei miei confronti fin da subito una certa diffidenza mista a insofferenza, mitigata solo dal suo atteggiamento pacato e politicamente cortese: dopotutto, ero arrivato nella sua azienda da poco con il tempo indeterminato ed un profilo senior, lui doveva temere che la mia presenza in organico avrebbe reso superflua la sua, che invece necessitava ancora di un rinnovo del contratto.
La sua benevolenza verso il sottoscritto non dovette certo aumentare quando iniziarono a togliergli delle attività per farle seguire a me e questo lo notavo: stavamo in stanza assieme ma mai una volta una mezza parola, a qualche rara mia battuta reagiva tiepidamente continuando a guardare il monitor e rispondendo a monosillabi, alle pause caffè scappava sempre zitto zitto per raggiungere i suoi amici, mai una volta che gli venisse l’idea di invitarmi.
Senza contare che, essendo io un frocetto, sono del tutto sprovvisto di qualsiasi terreno d’intesa con qualsiasi altro maschio etero e lui non faceva eccezione: non amo calcio, non amo sport e, cosa peggiore, non potevano accomunarci nemmeno i commenti goliardici su femmine pascolanti l’azienda, donne di cui non solo non notavo il fascino ma neanche la presenza, non interessandomi sessualmente.
Poi, comunque, non c’era niente da fare: fin dall’inizio, dopo due brevi frasi di circostanza aveva immancabilmente introdotto le magiche parole “la mia ragazza” e la cosa quasi mi esasperava.
Buffo dirlo, so di appartenere ad una minoranza ma quando non faccio che incontrare etero sessuali mi sento assediato e molto solo, perché sono circondato da abitanti di un mondo diverso dal mio.
Quando alla fine ho notato nella sua voce, intenta a ricambiarmi il saluto mentre entravo in stanza la mattina, uno scarso entusiasmo sempre crescente, ho preferito cambiare postazione per stare con altri colleghi, senza imporgli oltre la mia presenza: ci si parlava solo per cose di lavoro o ci si vedeva col gruppo per pranzo (sempre che non andasse con amici suoi coetanei) nulla di più.
Per questo non mi aspettavo, alla sua richiesta su Teams di essere ricontattato, che qualche noia di lavoro, qualche immancabile grana che - mi dicevo – avrei fatto bene a posticipare all’indomani visto che ero oltre l’orario d’ufficio. Ma, come si dice, tira più un pelo di cazzo che un carro di buoi e non ho saputo resistere al richiamarlo.
La sua voce, dall’altro lato dell’apparecchio, giungeva pacata come sempre, ma stavolta parlava del più e del meno, con mia sorpresa, non riuscivo quasi ad abituarmi a questo brusco cambio di registro.
- “Per venerdì ti sei già organizzato?”
In teoria si, mi ero organizzato perché un’altra collega si era gentilmente proposta di accompagnarmi fino al posto periferico e sprovvisto di mezzi pubblici dove avevano fissato la cena aziendale, ma l’idea di poter stare con lui mi fece cogliere la palla al balzo e accettare la sua offerta di andare, all’uscita dal lavoro, prima a bere una birra assieme per passare il tempo e poi recarci all’appuntamento.
- “E poi ti riaccompagno al ritorno”, aggiunse.
Cosa potevo volere di più? Passai sopra alla prospettiva poco allettante di dover pagare e trangugiare una birra (bevanda che detesto) e non badai molto al fatto che, per aspettarlo, mi sarebbe toccato restare in ufficio un’ora in più del necessario: l’idea di stare per la prima volta da solo con lui, dopo tanti mesi, mi galvanizzava. Non che mi aspettassi chissà cosa, quell’eloquente intercalare “la mia ragazza” parlava da sé, così come il suo essere un incurabile malato di figa, caratteristica che traspariva da ogni suo atteggiamento, fatto non per ostentazione e per vantarsi con gli altri ma proprio per interesse.
Potevi stare certo che se il tono della sua voce durante una call era leggermente tremante, compiaciuto e con una gentilezza che confinava con la servilità, dall’altro capo del filo doveva esserci una femmina. E, zitto zitto, svaniva dal gruppo dei colleghi alle macchinette e te lo trovavi sempre accanto a qualche sua ragazza, a parlare, parlare, parlare (che cazzo ci trovano di appagante gli etero in tutti questi preamboli non l’ho mai capito, sarà che vengo da un mondo dove dall’app e col GPS trovi subito qualcuno e non per fare due chiacchiere)..
Tornando al mio giovincello, con quel faccino serio alla Buster Keaton, non si tirava mai indietro appena ne vedeva una e partiva all’attacco. Mi sembrava come come una specie di Speedy Gonzales pronto a scattare al minimo pelo di figa.
Non mi aspettavo nulla quindi, solo un po' di gioia degli occhi di avercelo davanti: non era bello ma aveva in sé la bellezza della giovinezza, quella stessa che quando si inizia a notare negli altri è segno che non la si ha più in sé.
Inoltre, ero rassegnato a condividere questo momento della birra con altri suoi amici/colleghi, mentre fui deliziato dal vedere che eravamo soli. Forse gli altri avevano da fare ed era il motivo per cui mi aveva gentilmente proposto di passare quel tempo morto assieme prima della cena.
Ma non ho falsi orgogli e mi son goduto quell’oretta: certo, è curioso avere un ragazzo di fronte che ti attizza e, mentre la tua mente ti vorrebbe accovacciato tra le sue gambe a fargli una pompa con ingoio, il resto del tuo corpo deve rimanere normale e composto, intento a discutere di esperienze lavorative o di tempo libero. Grazie a Dio non si è argomentato di femmine: forse non avevamo confidenza abbastanza per questo e non me ne dispiace affatto, perché avrei avuto qualche problema a seguire il discorso o i gossip, distratto e disinteressato come sono a certe realtà.
Quella birra e quel momento di condivisione son durati troppo poco, alla cena già era di nuovo seduto lontano da me, vicino colleghi più giovani. Ero contento solo al pensiero che al ritorno saremmo stati di nuovo assieme per un po'.
Così a cena finita eravamo di nuovo uno accanto all’altro, seduti nella sua macchina che sfrecciava tra le strade buie. Era stata una bella serata, ci eravamo tutti rilassati e divertiti e portavamo con noi qualche effetto del simposio: Alessio mi sembrava un po' su di giri, scherzava e sorrideva più del solito, con una voce meno modulata rispetto al solito mentre io, grazie all’alcol assunto durante la serata, stavo meno sulle mie.
A che serviva contenersi ed essere prudente? Dopotutto, me ne sarei andato di lì a poco, non intendevo saltargli addosso ma almeno qualche battuta potevo concedermela.
E così iniziai a prenderlo in giro per il siparietto che si era ritrovato a fare a tavola con un altro collega, come lui giovane e come lui fissato per la palestra: si erano messi a confrontare i propri bicipiti con affermazioni abbastanza equivoche “caspita, tu si che ce l’hai grosso, è più grosso del mio” “no dai, anche il tuo è abbastanza grande, però si a me è più largo”.
Ricordandogli quel dialogo aggiunsi “avrei voluto registrare l’audio e mandarlo alle vostre rispettive ragazze, chissà che avrebbero pensato che stavate confrontando”. Rendendosi conto solo ora del doppio senso delle sue frasi, Alessio scoppiò a ridere come un pazzo, forse anche troppo, perché alla fine dovette ammettere: “me la sto a fare sotto, devo pisciare”.
In effetti, la birra ed il vino che aveva assunto dovevano fremere per essere eliminati, riflettevo tra me mentre con la freccia selezionata svoltava alla prima piazzola di sosta presente nella strada completamente buia.
Rimasi seduto a guardarlo scendere e fare il giro della macchina quando, invece di allontanarsi per urinare, aprì la portiera dalla mia parte dicendo, con un sorriso irresistibile: “chi non piscia in compagnia…”. Uscire istantaneamente dal veicolo, sorridere estasiato e continuare la frase “...è un ladro o una spia!” fu un tutt’uno.
Così, un po' barcollando, mi ritrovai accanto all’oggetto dei miei desideri, che era intento a liberare, alle parti basse, l’altro mio oggetto dei desideri. A gambe aperte, dando le spalle alla macchina, l’aveva tirato fuori e con gli occhi chiusi ed un sospiro di sollievo, si abbandonava ad una lunghissima pisciata. Io ero proprio accanto, con zip abbassate ed uccello da fuori: tecnicamente avrei avuto da fare pipì anche io e sarebbe stato meglio che mi fossi concentrato su questo, ma un po' l’effetto dell’alcol, un po' il fatto che Alessio continuava, col capo reclinato, a stare con gli occhi chiusi, non potei impedirmi di fissare il suo pisello, ben visibile dalla luce della luna: dalla cappella violacea, parzialmente coperta dal prepuzio continuava ad uscire una buona quantità di urina.
L’uccello era moscio ma bello cicciotto e terminava con due palle simmetriche, che il suo proprietario aveva avuto cura di tirare fuori.
Era inevitabile che quella visione dovesse farmi effetto: il mio pisello, diventato di marmo, non era più in grado di emettere pipì, semmai sarebbe stato felice di espellere ben altro liquido. Purtroppo, quando già era avvenuto l’irreparabile aumento di volume – che mi avrebbe impedito di farlo di nuovo sparire velocemente all’interno della zip – Alessio si voltò verso di me per capire se avessi finito e sgranò gli occhi nello scoprirmi col cazzo duro e lo sguardo puntato al suo uccello.
Io ero pietrificato, mi sentivo come un segaiolo scoperto in bagno dalla mamma e, al contempo, stordito com’ero non pensavo neanche a ricoprirmi. Tra me e me con fatica – perché la lucidità non era in mio possesso quel dopocena - ipotizzavo “ecco, ora questo domani lo racconta a tutta l’azienda”.
Anche lui era rimasto col suo gingillo all’aria ma ero troppo terrorizzato dalla situazione per osservarlo ancora, adesso il mio sguardo era fisso sul suo volto per capire la sua reazione, che non si fece attendere: scoppiò in una fragorosa risata, contorcendosi.
- “Albe’, non sapevo di farti quest’effetto!”, aggiunse con una punta di compiaciuta cattiveria.
Io ero paonazzo: mi sentivo letteralmente messo a nudo, quella erezione palesava i miei desideri molto più di quanto avessi voluto ammettere e non era possibile negarli.
Tentai di balbettare una giustificazione: “No, è che è da un po' che non …. E quindi mi viene duro per niente… “.
Ma il mio caro e bell’Alessio non intendeva farmi la grazia di fingere almeno di crederci, per aiutarmi a uscire da quella situazione imbarazzante, anzi, sembrava che nel mio imbarazzo ci sguazzasse con gusto:
- “E fai pure la lacrimuccia! Dai mettiti a fare l’elicottero ora!!”, continuava ridendo, indicandomi il pisello, che nel mentre era talmente duro da farmi male.
La lacrimuccia cui alludeva non era sul mio volto ma sul glande, che già si stava bagnando di pre-sperma, da bravo testa di cazzo: sarebbe servita una perdita di erezione istantanea e invece quello si irrigidiva sempre più, mettendomi con le spalle al muro.
Alessio sorrideva e il suo sguardo ironico passava dal suo cazzo moscio al mio rigido: è paradossale come in certe situazioni l’erezione sia la cosa più sbagliata e ti renda vulnerabile, però non pensavo neanche di rimetterlo dentro, un po' perché ero brillo un po' perché comunque essere visto da lui mi piaceva.
A un certo punto, guardandomi, mi ripeté esattamente le parole che aveva detto – e che poco prima gli avevo ricordato – al collega riferite ai bicipiti: “caspita, tu si che ce l’hai grosso, è più grosso del mio”, adesso a cazzi all’aria non ci poteva essere il minimo dubbio sul significato da attribuire a quella frase.
Presi un po' coraggio e dissi educatamente, con una punta di malizia: “Dovrei crederti sulla parola, ora non sono confrontabili”.
- “e certo, a me mica viene duro di fronte a te” – mi rispose con aria di superiorità – “ma visto che a momenti sborri senza toccarti solamente per aver visto un cazzo moscio, puoi renderti utile nel farmi sborrare e magari che sei un frocio segaiolo me lo tengo per me”.
Anche se non avessi compreso il significato delle sue parole, lo sguardo in parte incuriosito da una esperienza nuova, in parte divertito da avere finalmente in suo potere quel collega che aveva temuto, era abbastanza chiaro nel farmi capire cosa volesse. Le mie gambe già in automatico mi avevano fatto avvicinare a lui e mi ero ritrovato inginocchiato, col suo cazzo ad altezza del mio viso.
Emanava un odore acre ma era terribilmente seducente: mi ero sempre interrogato su come potesse essere e adesso finalmente ce l’avevo davanti. Alzai lo sguardo quasi a chiedergli il permesso e lui, dall’alto si limitò a sorridere compiaciuto e dominante.
Prima di fare il mio dovere, non seppi trattenermi e in pochi attimi gli sbottonai i pantaloni e calai le mutande fino alle caviglie. Per una frazione di secondo contemplai le sue gambe muscolose e poco pelose e il suo pube, col pelo ben curato, tagliato corto qualche cm e lasciato lì quasi come un simbolico vezzo (in questo periodo storico i maschi sono enormemente più curati esteticamente delle femmine) e poi le mie labbra si apprestarono a risucchiare quel pisello barzotto.
Quante volte l’avevo desiderato e fantasticato ed ora eccolo lì nella mia bocca: intendevo dargli il massimo piacere, roteando la lingua dal buco all’intera cappella e spingendo le labbra fino alla base del cazzo, che non abbandonavo momentaneamente se non per leccargli tutte le palle (depilate) prima di riprendere il lavoro.
Non mi fermavo un secondo, andavo su e giù, consapevole che ad ogni affondo avrei ottenuto un irrigidimento ulteriore, senza diminuire l’intensità del ritmo: finalmente duro, poteva tranquillamente arrivarmi in fondo alla gola.
Dai piani superiori sentivo quella voce profonda e sempre misurata finalmente intenta ad ansimare. Mi ritrovai ben presto la sua mano sulla mia testa, pronta a spingermi verso il suo pube, sempre più violentemente in misura direttamente proporzionale all’aumentare del suo godimento.
Di mio la mia gola, già in fiamme, era spalancata e sempre pronta ad accogliere quel cazzo che non avevo ancora avuto il tempo di vedere in erezione ma di cui percepivo, internamente, il volume e le dimensioni all’interno della mia bocca.
Con le mani mi stavo masturbando come un forsennato e mi stavo già pregustando il gusto della sua sborra – cosa che in genere non faccio mai ma in quella situazione ero troppo eccitato – quando la sua mano, che fino a quel momento mi aveva guidato la testa in un su e giù sempre più forte, improvvisamente mi fermò, per sfilarmi poi il cazzo di bocca.
Se non altro potei finalmente ammirarlo alla luce della luna: totalmente scappellato e ricoperto di saliva, aveva la cappella leggermente più grossa dell’asta, la quale a sua volta doveva avere un diametro di sei cm e una lunghezza di 16.
Rimasi in ginocchio, a guardare adorante quel pisello che Alessio sbatteva contro le mie guance, fino a quando mi ordinò: “togliti quei pantaloni e mettiti a pecora sul cofano, voglio romperti il culo, frocio di merda!”.
Estremamente docile (bella forza, mi si ordinava di fare proprio quello che desideravo da morire) mi ritrovai ben presto, dalla vita in basso, totalmente nudo. Gli passai un preservativo e mi offrii appoggiato sul cofano, col culo in fuori e il cazzo durissimo.
Anche se non faccio palestra ho un fisico magro e slanciato, ricoperto di peli, un pisello medio ma, soprattutto, ho un culetto molto sodo, che in tutti questi anni non ho mai mancato di far penetrare a destra e a manca.
Ero ben aperto, quindi, e ben felice all’idea di ricevere anche quel ragazzino.
Pancia appoggiata sul cofano, gambe divaricate, culo all’aria, sguardo fisso di fronte a me, verso la strada buia, ero pronto…
Lo sentii avvicinarsi e appoggiare la punta del cazzo al mio buco.
“Caspita” -pensavo tra me - l’ha trovato subito, mica male per un principiante”
Sentii le sue mani cingermi i fianchi e il suo pisello avanzare, con la stessa determinazione che poco prima era stata usata per scoparmi la bocca. Mentre stava prendendo possesso di me, mi mordevo le labbra per il dolore, pensando tra me pensavo con tenerezza al lubrificante che non avevo con me e che mi avrebbe reso più agevole l’impatto.
Dovevo arrangiarmi come potevo: senza aiutini che riducessero l’attrito e, per giunta, con un partner intento solo a procurarsi piacere, non mi restava che tentare di rilassarmi, ben sapendo che irrigidendomi avrei sentito solo più male.
Devo, comunque ammettere che pur nel dolore mi arrapava tantissimo il sentirmi allargato da quella circonferenza.
La sensazione di solletico dei peletti pubici sul mio culo mi fece capire che ero pieno e fu seguita immediatamente da un su e giù con molta forza.
Ad ogni affondo ansimava e godeva (probabilmente era la prima volta che poteva abbandonarsi senza riguardi verso la controparte, con le fidanzatine sarà stato delicato e premuroso, più attento al loro che al suo piacere) dando a me mille brividi diversi: ogni volta che usciva mi sembrava che l’intestino dovesse essere risucchiato fuori dal buco, salvo poi riceverlo con gli interessi ad ogni affondo successivo.
Dovevo aggrapparmi alla macchina per non cadere, le spinte erano sempre più forti tanto da far tremare anche il veicolo, mosso da quel ciclone che mi stava trapanando senza pietà. Il mio cazzo sfregandosi contro la macchina, restava durissimo e, persa ogni remora e ogni dignità, non seppi evitare di ansimare con voce sempre più acuta, fino a quando all’orecchio mi giunse un sussurro: “Che troia che sei….ti piace prenderlo in culo da me, vero? Mi volevi fottere il lavoro e ora ti fotto io”.
E mentre diceva questo continuava a penetrarmi con maggiore energia. Persa ogni dignità, nel totale delirio dei sensi, gli rispondevo: “Sii, mi piace, scopami forte, voglio sentirti fino in fondo..”.
Non è che avesse bisogno di questo genere di esortazioni, ogni spinta sembrava potesse arrivarmi in gola, alternata a qualche sculaccione. Ero lì, senza toccarmi, in balia dei miei e dei suoi sensi, col cazzo che a momenti veniva da solo quando all’improvviso la sua foga aumentò e mi sembrò che mi stesse letteralmente sfondando: gli ultimi affondi furono brevi e profondi, fino a rallentare… Questo, unito al fatto che la sua voce stava riacquistando la calma, mi fece capire che Alessio mi era venuto dentro.
Anche dopo che si fermò del tutto, io rimasi ancora lì, con la pancia sul cofano e le gambe aperte, quasi sorpreso quando mi sfilò dal culo, con la stessa rudezza con cui me l’aveva piantato, l’attrezzo che mi aveva martoriato: temetti veramente che assieme al suo cazzo dovesse uscire dal buco slabbrato anche tutto il resto dell’intestino. Io, senza forze, ero col capo chinato, lo sentivo armeggiare con la plastica del preservativo… Immaginavo se lo stesse togliendo, quando sentii un liquido denso colarmi sulle chiappe: stava vuotando su di me la sua sborra.
Poi dei colpi sistematici mi fecero capire che stava sbattendo l’uccello sulle mie chiappe, pulendosi con la mia pelle del resto del suo nettare.
Il suono della sua voce profonda “stai fermo ancora così” mi trovò docile e in attesa… ben presto la pelle del culo fu colpita da un altro liquido, stavolta caldo e abbondante: di nuovo stava pisciando, ma stavolta su di me.
Non resistetti, mi voltai e mi buttai per terra in ginocchio, con lui che dirigeva il getto sulla mia bocca aperta e sulla mia polo infradiciata. Con la bocca piena bastò alla mia mano toccare un attimo il mio pisello e venni abbondantemente per terra.
“Certo che sei una vera troia” mi disse lui mentre, mezzo tramortito, io iniziavo a riacquistare la lucidità. Alessio, ripreso controllo su di sé, si era rialzato i pantaloni e, sistemato di tutto punto, mi guardava disgustato.
Decisamente, non mi presentavo nelle mie migliori condizioni: ero ancora in ginocchio per terra, pieno di piscio dalla testa ai piedi, col culo allargato da cui colavano umori, io per primo non sapevo come sistemarmi per entrare in macchina e non osavo guardarlo in faccia. Mi ero proprio fatto ben umiliare e usare da questo ragazzino che ora stava lì, vestito di tutto punto come se non fosse successo nulla, ad ostentare una compiaciuta aria di superiorità.
- “Tu in queste condizioni nella mia macchina non ci entri, che me la sporchi, poi che figura ci faccio che devo andare a riprendere la mia ragazza”.
Lo guardai spaventato, eravamo nella piazzola di sosta in mezzo al nulla. “E come devo fare?” gli chiesi alzandomi, col pisello ormai moscio da cui ancora gocciolava sborra.
- “Ah, non lo so, arrangiati, fatti montare da qualche camionista” mi disse mentre saliva in macchina.
Tentai di avvicinarmi e di aprire la portiera ma aveva messo la sicura. Rimasi inebetito a guardarlo mentre con naturalezza ed una calma snervante, ignorando la mia presenza, era intento ad indossare la cintura di sicurezza. Tempo pochi secondi eccolo lo vidi impostare il navigatore con l’indirizzo di casa, accendere la macchina e si avviarsi.
Quando le luci dei fari sparirono in lontananza tornò tutto buio, per fortuna c’era ancora un barlume di luna, lo stesso che pochi attimi prima mi aveva trovato a pecora.
Piuttosto nel panico, cercai di reperire almeno i pantaloni e le mutande, li avevo buttati per terra su suo ordine prima di essere inculato, per cui li dovevano essere. Eppure, non li trovavo più.
Iniziai a sudare freddo nel realizzare che, oltre al lasciarmi per strada, il mio caro collega doveva avermi voluto fare anche lo scherzetto di prendersi questo souvenir. E nelle tasche c’erano anche i documenti, il cellulare e il portafogli!
Guardai per strada nella speranza di vedere da lontano arrivare una macchina ma il nero della notte restava uniforme.. Del resto, anche se fosse passato qualcuno, difficilmente si sarebbe fermato o mi avrebbe aiutato, ero in una condizione pessima: sudato, nudo dalla vita in basso, col culo aperto e con la maglietta zuppa di piscio. Io per primo non mi sarei caricato mai in una macchina…
E quindi cosa potevo fare? Dovevo pensare, riflettere, cercare di arginare i danni… Dovevo cercare almeno dei vestiti, o un canale dove lavarmi la maglietta dal piscio per metterla alla vita a coprire le putenda… certo sempre non erano condizioni in cui mi sarei presentato bene, ma sempre meglio che fare autostop col culo all’aria… Ma poi, autostop da chi che non passava nessuno? Dovevo aspettare il traffico del giorno e passare la notte all’addiaccio? Come fare fino al mattino?
Continuavo a guardare il deserto in cui mi trovavo mentre mi dicevo che dovevo, non so come, trovare qualche vestito per tornare in città… ma come? Dicevo a me stesso che avrei dovuto farmi venire un’idea, per cui dovevo riflettere, pensare, trovare una soluzione…
Tutto questo stavo dicendo a me stesso, quando il rumore di una notifica su Teams mi strappò alle mie riflessioni.
Aprii gli occhi e mi ritrovai in pieno giorno, alle 17:30, con davanti a me lo schermo del cellulare acceso e il popup che faceva vedere l’anteprima. Quel messaggio che mi aveva sottratto ad un sogno ad occhi aperti durato inaspettatamente a lungo era proprio di Alessio ed è quello che avevo letto pochi attimi prima di iniziare a fantasticare: “Ciao Alberto, quando puoi chiamami”.
Non ho resistito e l’ho chiamato, sperando davvero che, in vista della cena aziendale, il collega carino e giovane volesse sul serio propormi di accompagnarmi e stare un po' assieme. E, invece, dall’altro lato la solita voce serafica del collega:
- “oh ciao Albè, volevo dirti che ho parlato col capo, io vado in ferie domani ma ci sono ancora queste pratiche da fare, puoi seguirle tu? Grazie mille, ci vediamo alla cena”.
E va beh, consoliamoci: almeno non rischio di essere abbandonato in mezzo ad un autostrada di notte.
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